Il cappellaio bisbetico.

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Tutto è cominciato a Natale quando mi sono recata da Schiappelli, il negozio storico di cappelli a Ferrara, per regalarne uno a mio marito.

“Per studio”, come ho detto alle commesse, ho chiesto quali fossero le occasioni per usare un cappello come quello della foto e ne è venuto fuori che l’avevano avuto identico. Sono entrata in agitazione e ho chiesto di farne arrivare uno per provarlo; purtroppo, essendo a fine produzione della collezione invernale, l’avrebbero dovuto far fare appositamente e sarei stata obbligata a comprarlo. Obnubilata dalla possibiltà di avere un accessorio così originale ho accettato ma, nottetempo, ho riacquistato il senno e mi sono ricordata che queste sono quelle occasioni in cui un’aspettativa esaltante si trasforma in una cocentissima delusione (ho un elenco lunghissimo di esperienze in questo senso) e ho soprassieduto all’acquisto. Da allora faccio la voglia di un cappello bellissimo e particolarissimo.

Sabato pomeriggio (28/02/2015, n.d.r.), appena approdati a Venezia, ritroviamo il negozio di cappelli dove, nel 2011, avevo comprato un cerchietto da cerimonia per il matrimonio di mio fratello e intravedo la possibilità di avere il cappello dei miei desideri.
Mi sveglio domenica mattina con l’unico obbiettivo di tornare al negozio sperando vivamente di trovarlo aperto; nel caso in cui fosse stato chiuso avrei chiamato al cellulare sulla vetrina perchè venissero ad aprire. Piano PERFETTO!
Giriamo l’angolo ed è aperto! Yuppie! Cappello stupendo, arrivoooo!

Entriamo e invece di trovare la “cappellaia matta”, così rinominata da noi in occasione del cerchietto, ci si para davanti un uomo in tabarro che sembra il fantasma dell’opera.
Nonostante la paura che mi incute, esordisco giovialmente dicendo: speravo proprio che foste aperti! E chiedo: posso dare un’occhiata? Lui: lo sta già facendo. Io tra me e me: veramente in questo secondo ho guardato solo lei e il suo tabarro. Comunque.

Proseguo perchè l’occasione è troppo ghiotta: siamo a Venezia dove i cappelli si mettono tanto quanto le scarpe e in un negozio rinomato per l’artigianalità; un cappello fantastico lo devo per forza trovare. Mi guardo in giro e non distinguo i cappelli da donna in quell’ammasso informe di merce; chiedo: i cappelli da donna dove sono? E lui: se mi dice cosa vuole vedere glielo tiro fuori. Io penso: sì, bisognerebbe aver visto qualcosa, però. Vabbè, partiamo da quello che ho visto in vetrina anche se è da cerimonia. Lo provo chiedendo il permesso perchè c’è un cartello intimidatorio che recita in inglese pressapoco: per questioni di igiene, si provano i cappelli solo se si ha intenzione di comprarli. Il cappello sta bene ma segnalo che è da cerimonia sottintendendo che non mi serve tanto così; e lui: ah, ma sono tutti da cerimonia. Penso: vabbè, proviamo a vedere se c’è qualcosa di veramente irresistibile. Lo tolgo e fa per prendermelo dalle mani e rimetterlo in vetrina; lo trattengo e lui: pensa di comprarlo? Dico: lo sto valutando….cosa posso guardare ancora? Ne vedo uno e dico: uh, guarda che bello quello! E lui: non mi chieda di tirarlo giù! E io: lo vado a prendere io? Lui: ah, no, no!
Penso: non gli devo chiedere di tirare giù qualcosa ma non posso toccare io, cosa facciamo?? Irritata di colpo e al diavolo il cappello dei miei sogni dico: senta, facciamo che torniamo quando qui si può vedere qualcosa. E lui: ecco.
Non ho ancora capito cos’abbia aperto a fare se tutto i tempo ci ha fatto desistere dal comprare e ci è anche riuscito.
In pendant con il mio esordio, però, dovevo dire: allora era meglio che rimanesse chiuso!

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